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        Ottobre 2008

Tra i seminari dell'Università Bocconi di Milano: "I Ministri degli Esteri raccontano" -

di M. Elena Quaiotti

 

Articoli e Servizi Particolari

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All’Università Bocconi di Milano
seminari dal titolo “I Ministri degli Esteri raccontano”–

Intervenuti, il 13 0ttobre 2008 – Moderatore il Direttore de Il Sole 24 ore Ferruccio de Bortoli -
Arnaldo Forlani e Gianni De Michelis

“Spesso gli errori in politica vengono commessi perché mancano le informazioni esatte”
Arnaldo Forlani

“Se oggi la Cina non avesse un governo così saldo, per il mondo intero sarebbero problemi seri”
Gianni De Michelis

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L’Aula Magna dell’Università Bocconi di Milano


Mancava solo Giulio Andreotti, vero comune denominatore di una storia lunga ben oltre il periodo preso in considerazione nel ciclo di seminari dall’efficace titolo “I Ministri degli Esteri raccontano – L’Italia e il mondo negli ultimi trent’anni” organizzato dall’Università Bocconi di Milano in collaborazione con la Fondazione Ugo La Malfa: Andreotti era stato invitato lo scorso 13 ottobre insieme ad Arnaldo Forlani e Gianni De Michelis, che invece erano presenti e molto, molto loquaci. L’incontro, il secondo dei sei in calendario e che ha visto la presenza illustre di Giorgio La Malfa, è stato moderato dal direttore de “Il Sole 24 Ore” Ferruccio De Bortoli.


Gianni De Michelis, Giorgio La Malfa, Ferruccio De Bortoli, Arnaldo Forlani

Primo a prendere la parola Arnaldo Forlani, classe 1925, Ministro degli Esteri dal 1976 al 1979 (terzo Governo Andreotti), esponente di spicco della Democrazia Cristiana, una carriera politica iniziata nel 1948 e conclusasi con la tristemente famosa parentesi di Tangentopoli, quella che la maggior parte degli studenti presenti in Aula Magna avranno avuto più impressa nella loro giovane memoria. L’intervento di Forlani, pacato nei toni (soprattutto della voce, oltre che dei contenuti), si è incentrato sulle tensioni tra est ed ovest del mondo nel periodo in cui l’Italia decise di aderire al Patto Atlantico ed entrare nello SME (Sistema Monetario Europeo), gli stessi anni del disallineamento da sinistra di Enrico Berlinguer e dell’intransigenza di Aldo Moro nei confronti del Partito Comunista italiano, oltre che della fermezza di posizioni dello stesso Giulio Andreotti in sede europea. “Eravamo di fronte a scelte radicalmente opposte – ha ricordato Forlani - da un lato c’era una parte consistente del nostro paese che si riconosceva nel PCI, scegliendo così il collegamento con l’impero sovietico che esercitava la sua influenza su gran parte dell’Europa, un impero all’insegna di un’ideologia totalitaria; dall’altro lato c’era la scelta democratica di libertà con il collegamento con gli Stati Uniti d’America.

Noi scegliemmo quest’ultima, che fu definita come una scelta di civiltà. Seguì una sorta di emancipazione del PCI, con la clamorosa dichiarazione, durante la campagna elettorale del 1976, di Enrico Berlinguer, che posto di fronte alla necessità di scegliere fra l’ombrello atlantico ed il Patto di Varsavia, si orientò verso l’ombrello atlantico. Rilevo che spesso gli errori in politica vengono commessi perché mancano le informazioni esatte: dell’episodio appena citato gli USA si risentirono molto, perché è noto che non avrebbero mai accettato una forte componente comunista al governo, lavoravano per questo fin dal dopoguerra! In realtà nel 1978 non si era sicuri del voto di fiducia del PCI, perché nel frattempo nelle prove elettorali la DC – che nel 1975 ebbe una forte flessione – riprese quota, e lo stesso Berlinguer si trovò al centro di critiche. Moro stesso, che passava per il tessitore dell’intesa che doveva portare a comuni responsabilità le istituzioni democratiche nel nostro paese, assunse un atteggiamento abbastanza critico nei confronti del PCI dicendo, riporto quasi testualmente, “non basta per chiarire gli equivoci votare un documento comune di politica estera, se poi non si condividono i mezzi e gli strumenti per rendere quella politica estera attuale ed efficace”.Moro era dunque tutt’altro che flessibile: era intransigente nei rapporti con il PCI, ed infatti il PCI uscì dalla maggioranza quando il governo italiano aderì allo SME, il sistema monetario europeo.

Il PCI si è sottratto proprio in occasione della firma, e non so se questo sia stato colto come pretesto: fatto sta che non ci furono contrasti nel Governo, e non è neanche vero che ci furono forti obiezioni dei socialisti. A Bruxelles – ha concluso l’intervento Forlani - andammo Giulio Andreotti (Presidente del Consiglio), Filippo Maria Pandolfi (Ministro del Tesoro), Paolo Baffi (Governatore della Banca d’Italia), ed io come Ministro degli Esteri. Ebbene, Andreotti non ebbe dubbi né incertezze”.E’ iniziata invece dalla caduta del muro di Berlino l’esperienza da Ministro degli Esteri di Gianni De Michelis, alla guida della Farnesina dal 1989 al 1992: De Michelis, attualmente deputato al Parlamento Europeo per il Gruppo Socialista, è noto alle cronache soprattutto per lo stile di vita sfrenatamente mondano che venne “stroncato” dall’inchiesta Mani Pulite, inchiesta che lo coinvolse nell’ambito dello scandalo Enimont. In seguito De Michelis riprese l’esperienza socialista, in forte antagonismo con il figlio dello storico segretario del Psi Bettino Craxi, Bobo, esperienza che tuttora, molto faticosamente, dura. L’intervento di De Michelis è partito dalla fine della cosiddetta Guerra Fredda, passando per il processo di unificazione delle due Germanie, senza dimenticare il sogno infranto di Gorbaciov e rivendicando la paternità del Piano europeo delle infrastrutture a Jacques Delors, socialista francese. Parole, le sue, cariche del profondo anticomunismo che lo ha sempre contraddistinto, e, non dimenticando la crisi economica attuale, anche di antiamericanismo allo stato puro. “Sono stato Ministro degli Esteri per 1000 giorni – ha esordito De Michelis - quando nessuno avrebbe potuto prevedere la frantumazione dell’ordine preesistente, con la caduta del muro di Berlino. Mi trovai, anzi, il Governo presieduto da Andreotti si trovò a dover capire come mantenere una linea internazionale adeguata ad un mondo in tumultuoso cambiamento. Nel settembre 1989 andai di fronte alla Commissione Camera e Senato dicendo che la vera scommessa era fra integrazione e disintegrazione, e che se noi non avessimo portato l’esperienza dell’Europa occidentale ad Est, allora l’Est avrebbe infettato anche noi. In seguito la storia è stata falsificata talmente tanto, ma in quegli anni assumemmo posizioni giuste per esempio per quanto riguardava l’URSS, lavorammo in appoggio a Gorbaciov per tentare di evitare ciò che poi successe – soprattutto per responsabilità degli Stati Uniti. Ripeto, e sono convinto, che se la Cina oggi non avesse un governo così saldo ci sarebbero seri problemi per il mondo.

Tornando al novembre 1989, venne convocata d’urgenza l’Unione Europea, che allora era presieduta da François Mitterrand – per inciso – ha sottolineato ironico De Michelis - all’inizio di passaggi difficili c’e sempre stato un presidente francese. Helmut Kohl ce lo disse quasi piangendo: “non potete rimandarmi nel mio Paese senza un chiaro segnale”, fu allora che Andreotti suggerì la formula del compromesso. Da lì si avviò il progetto di unificazione delle due Germanie, una unificazione rapidissima, che servì a Kohl per arrivare alle elezioni vittorioso sui socialdemocratici, che senza l’annessione della Germania dell’est avrebbero senz’altro stravinto. Ma soprattutto l’unificazione rese possibile Maastricht: il Piano europeo delle infrastrutture non è un’idea di Tremonti, ma è un’idea del 1991 di Jacques Delors. Venti anni dopo capisco che non riuscimmo ad attendere al nostro compito – ha concluso De Michelis - abbiamo prolungato troppo i tempi, ma la responsabilità maggiore è e resta degli Stati Uniti: erano e sono rimasti illusi di poter esercitare l’ordine da soli, di essere in grado di reggere il mondo. Oggi la loro egemonia è finita per sempre, non solo Bush verrà condannato dalla storia, anche gli otto anni di presidenza Clinton avranno la loro parte. Non hanno capito che la fine della Guerra Fredda gli scaricava addosso un altro mondo, e ciononostante hanno insistito ad imporre le regole del gioco. E oggi il problema ci si ripropone negli stessi termini in cui avremmo dovuto affrontarlo l’altra volta”.

Maria Elena Quaiotti