Comunicazione & Forme



 

 

 

 

 

Il Ponte sullo Stretto

Un ruolo propulsivo alle due università, di Messina e di Reggio Calabria


 

Il polo siderurgico di Gioia Tauro, l’Italsider di Bagnoli e Taranto, i poli chimici siciliani di Gela, Milazzo, Priolo, le Officine F.S. e la Liquichimica Biosintesi di Saline Joniche. Per decenni le grandi concentrazioni industriali altamente inquinanti o le megainfrastrutture sono state le uniche ricette del “modello di sviluppo” proposto per il Mezzogiorno.
Il Ponte, in linea con il passato, è la panacea offerta alla gente dello Stretto, chimera “capace di enormi ricadute economiche ed occupazionali e di accelerare la crescita socioeconomica e l’integrazione delle popolazioni dell’area dello Stretto”.
“Quando il manufatto sarà pronto – ha dichiarato in un suo intervento il ministro delle infrastrutture Pietro Lunardi – si registrerà una trasformazione del territorio straordinaria sotto i profili urbanistico, economico e sociale”. La filosofia che sta dietro il progetto del Ponte è la stessa che vede nella grande opera pubblica la chance privilegiata di riscatto del Mezzogiorno: “Una filosofia niente affatto nuova, e che ha per lungo tempo guidato la politica degli interventi pubblici nel Meridione. Una filosofia che ha portato ad una serie di storiche disfatte dello Stato nella battaglia per lo sviluppo del Sud”. Filosofia dominata da alcune dinamiche quali: “la cultura delle inaugurazioni contro quella delle manutenzioni (realizzata l’opera ne si trascura la gestione); la tendenza al gigantismo a scapito di una diffusione degli interventi; la tendenza a posizionare le opere sulla base, a volte, di considerazioni elettorali o assistenziali e non nel quadro di un progetto organico di sviluppo; la tendenza a considerare l’opera pubblica come un pretesto per l’erogazione di rendite a più livelli; l’asistematicità dell’intervento; l’incertezza dei finanziamenti”. Tutto ciò non dovrebbe avvenire; altrimenti il Ponte assumerebbe l’aspetto di un’imponente ‘Cattedrale sullo Stretto’.
Nel sud Italia, si rileva in alcuni punti, restano incomplete le reti autostradali e ferroviarie e rimane insufficiente la viabilità secondaria (specie in Calabria e Sicilia), dove, a parere degli esperti, si dovrebbe definire un progetto di sistema delle comunicazioni, che punti al rilancio della rete portuale e del cabotaggio. Il sogno-modello del Ponte - e non è casuale - si afferma nel momento stesso in cui nell’area dello Stretto è in atto il progressivo smantellamento del sistema di trasporto pubblico delle ferrovie a favore delle compagnie private.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se a governare la politica, l’economia e l’informazione non ci fosse sullo Stretto il ‘partito del ponte’, probabilmente sarebbero stati cantierizzati tutta una serie di progetti, che avrebbero risposto positivamente alla domanda di lavoro e di sviluppo del territorio.
Il rilancio della cantieristica in sostegno al potenziamento del traghettamento pubblico nello Stretto e la realizzazione di collegamenti veloci con l’aeroporto di Reggio Calabria e le isole minori dell’arcipelago eoliano; l’attivazione di quei servizi pubblici la cui inesistenza accentua il gap con le aree urbane del Settentrione e ha drammatiche ricadute in tema di vivibilità; il recupero del patrimonio storico e artistico danneggiato dal terremoto del 1908 e dall’incuria di alcune amministrazioni locali post-ricostruzione; il risanamento di certi quartieri periferici dove ancora imperano le baracche e sono insufficienti gli spazi verdi e i luoghi di socializzazione; la manutenzione di abitazioni private e di edifici pubblici del centro storico le cui realizzazioni allontanerebbero il rischio di crollo; una politica di prevenzione antisimica in un’area dove i sismologi attendono a breve un evento di dimensioni simili a quello subito all’inizio del XX secolo; la riqualificazione del territorio collinare devastato dall’abusivismo edilizio e dalla cementificazione dei torrenti, già oggetto di disastrosi nubifragi; la valorizzazione turistica del porto e la realizzazione di parchi urbani per il recupero dell’antico sistema fortilizio; la valorizzazione di alcune aree paesaggistiche straordinarie; l’impegno sul fronte delle nuove tecnologie ove possono avere un ruolo propulsivo le due Università di Reggio e Messina, caratterizzatasi sino ad ora come soggetti distributori di reddito ed appalti; l’investimento nell’agricoltura biologica e il rilancio delle produzioni tipiche dell’area (agrumi, olio d’oliva, vigneti); la valorizzazione dell’artigianato locale e il recupero delle antiche produzioni artistiche; lo sfruttamento delle energie rinnovabili (proprio lo Stretto ha un patrimonio energetico incommensurabile – si pensi all’energia eolica e alle correnti marine); il finanziamento diretto e la facilitazione di accesso al credito per tutto il ‘terzo settore’ in vista dell’incentivazione delle imprese sociali, dell’associazionismo e delle cooperative giovanili.
Questi, ed altri, da come indicano gli studi di settore, sarebbero gli interventi perseguibili per poter rispondere ai criteri di un’economia autocentrata che valorizzi maggiormente le risorse già esistenti nell’area dello Stretto.
Pensare, creare, sognare, progredire. Organizzare il ritorno alla relazione ancestrale con il territorio e l’ambiente, in concomitanza, con l’acciaio e col cemento.
 

 

Federico Curatola               

 

FEDERICO CURATOLA

Settembre 2004

Il Ponte sullo stretto

di Federico Curatola  

 

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