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Marzo 2006

Entrata in vigore la legge "Pecorella"

           di Giuseppe Romeo

 

Articoli e Servizi Particolari

 

 

 


Entrata in vigore la legge “Pecorella”

Liberato il processo penale dal giudizio intermedio dell’appello in caso di assoluzione dell’imputato


Si, con la entrata in vigore della legge “Pecorella” approvata definitivamente al Senato il 14.02.06 dopo il rinvio del precedente testo che il Presidente della Repubblica fece alle Camere, la Pubblica Accusa non può più proporre appello contro le sentenze di proscioglimento, ma può fare ricorso in Cassazione; residua al Pubblico Ministero, tuttavia, la possibilità di proporre appello in caso di nuove prove, ritenute decisive, sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado.

Su questa legge sono piovute copiose polemiche che hanno animato pro o contro il dibattito politico delle forze in campo di minoranza e maggioranza e degli addetti ai lavori, Magistrati e Avvocati.

Le altrui opinioni vanno sempre rispettate, ma vanno sempre deprecate le aggressioni, le insinuazioni e le imprecazioni che non appartengono alla cultura della giusta informazione e non servano a fare comprendere alla gente come stanno effettivamente le cose.

Ora che la legge si è resa definitiva ed è in attesa di pubblicazione sulla gazzetta ufficiale per farla entrare in vigore, esistono le condizioni, per chi scrive, di esprimere una opinione quantomeno aderente alla nuova normativa penale ed appropriata all’intero sistema processuale, senza indulgere alle varie dicerie che si sono propagate e fomentate in merito.

Va detto innanzitutto ai lettori, in semplificazione, che i tre gradi del processo penale ( Tribunale/Corte di Assise, C. Appello e Cassazione, i primi due competenti a decidere su questioni di merito e di diritto attinenti al compimento degli atti e fatti costituenti reato in corretta applicazione della norma penale di previsione e delle norme che disciplinano il procedimento e la seconda soltanto per questioni inerenti alla corretta applicazione della legge penale fatta nel giudizio che ha dato luogo alla sentenza impugnata), sono stati preordinati a tutela dei diritti del cittadino, costituzionalmente protetti: 1°) diritto di conoscere i termini esatti e non astratti dell’accusa e di difendersi in condizioni di parità con l’accusatore; 2° diritto di conservare e difendere la sua innocenza sino a che non intervenga condanna definitiva; 3° diritto ad usufruire del trattamento sanzionatorio più favorevole.

Tutte queste garanzie, tipiche di una concezione democratica e non autoritaria di uno Stato moderno, sono state apprestate dal legislatore a riparo di eventuali soverchierie e prevaricazioni degli operatori della Pubblica Amministrazione in generale in cui va compresa anche la Magistratura Ordinaria e tutte le altre Giurisdizioni.

Il legislatore, con la inappellabilità delle sentenze di proscioglimento introdotta a conferma della sua volontà di abbreviare le endemiche lungaggini giudiziarie, ha dato sostanzialmente lo stop alla ricelebrazione processuale dell’accusa, venuta a cadere con la sentenza di assoluzione, lasciando al Pubblico Ministero la porta aperta di accesso alla Cassazione per fare rilevare e cancellare eventuali vizi di legittimità inficianti la pronunciata sentenza di assoluzione e senza privarlo, tuttavia, del potere/dovere di proporre appello nel caso in cui dovessero sopravvenire o essere scoperte nuove prove, ritenute decisive, dopo la sentenza di primo grado.

Questa non costituisce, del resto, una novità processuale; allo stato delle cose, infatti, è consentito in sede penale il ricorso immediato per Cassazione che l’imputato può fare personalmente anche senza l’ausilio dell’avvocato, dopo il giudizio di primo grado e in sede civile contro le sentenze del Giudice di Pace in materie di sanzioni amministrative (codice stradale per es.) e per tutte le altre sentenze civili, previo accordo tra le parti del processo.

E’ evidente che col nuovo sistema si viene ad appesantire il lavoro della Cassazione, ma è altrettanto evidente che parimenti si viene ad alleggerire quello delle Corti di Appello e che l’imputato una volta ripagato con la sentenza di proscioglimento del patimento subito dall’accusa non debba più sopportare il patimento della sua reiterazione in appello.

Non mi pare che, stando cosi le cose, possa sollevarsi un problema di totale o parziale incostituzionalità della nuova norma introdotta, ma, semmai quello di adeguare le strutture della Suprema Corte alle nuove esigenze operative; su questo terreno, pertanto, da queste colonne si avanza la proposta di decentramento regionale di Sezioni della Corte che si ritiene corrispondere alle aspettative del cittadino di avere anche la suprema giustizia a portata di mano e non esclusivamente capitolina.

Ogni altra valutazione espressa da alcune parti e correlata al favore che, con la norma approvata, possa derivare a qualche personaggio più o meno in vista impelagato in vicende giudiziarie, non appartiene alla cultura del diritto e della corretta informazione ma a quella della insinuazioni e della polemica politico/elettorale, né è di giovamento alla ricerca della soluzione testé prospettata; queste parti, presi probabilmente dall’impeto di screditare comunque l’avversario politico, non si rendono conto che se ad avere la meglio in qualsiasi intervento statale ci saranno alla fine tantissimi poveri cristi, non deve importare che, tra questi, possa pure ritrovarsi qualche inviso personaggio appartenente all’uno o all’altro schieramento politico, cui non si può negare, in ogni caso, il diritto di conservare e difendere la sua innocenza sino a che non sia giudicato definitivamente colpevole.

Giuseppe Romeo